Officina linguistica: gli scrittori di minoranza nuova frontiera della letteratura europea
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Il non finito e il non detto degli autori “minori”.
12 Dicembre 2025
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La seconda edizione dell’Officina delle Lingue Minoritarie punta sul non finito e sul non detto, anzi sul non scritto. Quando uno scrittore contemporaneo infatti sceglie di scrivere le sue opere utilizzando non una lingua statale e ufficiale, ma un idioma indeterminato, parzialmente riconosciuto o per niente, al massimo co-ufficiale, ma spesso totalmente disconosciuto dalle istituzioni, o anche confuso ancora con una realtà dialettale, il mezzo diventa messaggio. La specialità della lingua utilizzata soverchia spesso le tematiche, gli argomenti, le poetiche. L’indeterminatezza pragmatica delle opere narrative, liriche o saggistiche che ne conseguono, si sovrappone al progetto.
Lo schema narrativo e identitario delle produzioni in lingua minoritaria in Europa è dunque un cantiere ribollente, un laboratorio di prassi divergenti, un laboratorio ancora fermo alla definizione delle fondamenta. È un work in progress per autori che lavorano spesso controvento: l’industria culturale li tiene in un apartheid antropologico, la letteratura di successo li snobba, quella locale, provinciale, che si esprime nelle lingue dominanti, li emargina. La sfida è ardua. Regna il non finito per sopravvivenza.
Officina ha raccolto questo cimento ribaltando il punto di vista. Pur coinvolgendo gli autori in lingua minoritaria non li vuole rinchiudere in un facile schema interpretativo: né quello rivendicativo (“più spazio alle lingue di minoranza”!), né quello pittoresco (“che bello scrivere in sardo, friulano, catalano ect”). Piuttosto vuole lasciar loro la parola, insieme, in modo organizzato, per scambiare buone prassi ed elaborare un modello per la sopravvivenza futura. Il non finito letterario sta proprio in questo: siano gli autori stessi, dal confronto dentro l’officina a crescere e progettare nuove strade, nuove direzioni, nuovi orizzonti. L’Officina li accoglierà e li rielaborerà nelle prossime edizioni.
Il non detto e il non scritto è il classico valore aggiunto delle lingue minoritarie. Ogni lingua è originale e autonoma nella sua capacità di creare concetti e visioni unici. Non sempre le lingue sono perfettamente traducibili tra loro. Il residuo semantico da un idioma all’altro resta, e costituisce, il motivo per cui ogni lingua, anche la più piccola, va difesa: perché produce diversità cognitiva e di significato che limita l’omologazione. Un antidoto alla povertà culturale travestita da facile cosmopolitismo.
L’officina prende avvio oggi venerdi 12 dicembre con la presentazione di due libri simbolici e un titolo da manifesto politico: La Sardegna, officina delle idee e delle lingue. Con la sapiente e elegante regia di Lucia Cossu, si parte alle ore 17.30, Sala Affresco EX Convento dei Cappuccini di Quartu, dal nuovo libro di liriche multilingui di Maurizio Virdis “Larvae” (Nor Editore). L’autore dialoga con Patrizia Serra. Si tratta di una raccolta di versi in tante lingue quanto le identità dell’autore, scritta o elaborata dall’Autore lungo un arco temporale che va dalla sua adolescenza a oggi. Si prosegue con un classico della letteratura sarda: “Contos” (postumi) di Paolo Pillonca, Domus de Janas, editore. La particolarità è che saranno gli stessi figli di Paolo, Piersandro e Fabio, a presentare l’opera, accompagnati da Giovanni Runchina. Dal confronto di due opere, diverse, ma uguali nella tensione identitaria e linguistica, dove l’individualismo dell’autore si scioglie nella placidità dell’identità collettiva e plurale, dovrebbe già emergere qualche spunto di non finito e di non detto da completare.
L’indomani mattina, sabato, sempre in via Brigata Sassari a Quartu, alle 10.30, inizia il “Cantieri subra s’iscritura in limba sarda de minoria”, riservato ad autori, operatori, studiosi, ricercatori, poeti e artisti. Coloro che in qualche modo, nel cantiere della lingua, hanno un ruolo e possono raccontare le loro esperienze, le loro vittorie e le loro sconfitte. Dirige sempre Lucia Cossu e si parte da un caso significativo: l’uscita del romanzo del catalano algherese Gavino Balata “Soldats abandonats” in audiolibro. Un’esperienza stimolante e urticante sull’uso della scrittura o dell’oralità. Una ventina di partecipanti ufficiali al cantiere delle lingue, dei quali una pattuglia si ritroverà anche nel pomeriggio per una tavola rotonda aperta al pubblico sul tema dal titolo “Europa multiculturale: letterature di minoranze a confronto”.
Poco prima, a partire dalle ore 16.30, stessa sede, la presentazione di tre opere capitali delle minoranze linguistiche europee sotto il titolo “Scrittura creativa e scrittori di confine negli idiomi non statali”. Si comincia da Quattro storie in tabarchino (GIA editore) con Andrea Luxoro e Rosella Capriata, guidati da Myriam Quaquero. Si tratta di piccolo volume di storie moderne che affondano le radici nella tradizione tabarchina, storie che talvolta somigliano a fiabe, un genere capace di parlare ancora oggi non solo ai bambini, ma a tutti coloro che sanno mettersi in ascolto del mondo, immedesimarsi nelle parole e nei gesti di animali attraverso cui riconoscere i propri vizi e le proprie virtù.
Segue la presentazione di Rut Bernardi, De teles da giat (Union di Ladins de Gherdëina, 2024) e Sëida, Poetica magica (clip video, 2024), dialoga con l’Autrice: Nicolò Migheli. In un itinerario scandito da miti, parole magiche, lingua ladina e filastrocche ci conduce l’autrice (scrittrice e studiosa di madre lingua ladina). Rut Bernardi inviterà il suo pubblico a percorrere un viaggio immersivo nella tradizione ladina, partendo dalle radici di quest’antica lingua. Un percorso poetico e sonoro, di filastrocche, toponimi e natura.
A seguire William Cisilino, “Ognun al bale cun sô agne” (Lithostampa, 2025), che dialogherà con la giornalista Mariantonietta Piga. Il titolo riprende un proverbio friulano che significa "Ognuno balla con sua zia", ovvero ognuno si occupi dei propri affari e faccia ciò che gli pare, senza interferire con gli altri, evidenziando un tratto tipico della cultura friulana, che mescola riservatezza e autoironia. Uno degli aspetti più affascinanti del libro è la sua capacità di mescolare riflessione e umorismo. Cisilino non si limita a registrare espressioni e modi di dire, ma li usa come lenti per osservare la realtà. Così, tra una parola e l'altra, si passa da analisi ironiche sulla politica e il costume a momenti di pura poesia linguistica (strepitose voci come “Nasebon” o “Sdrumâ”). Perché il friulano, con la sua asciuttezza e immediatezza, è perfetto sia per raccontare le piccole follie quotidiane che per esprimere pensieri profondi con poche, essenziali parole.
Da questo calderone ribollente di lingue, autori, esperienze e mondi paralleli e divergenti dovrà venire fuori un progetto per le letterature di minoranza per i prossimi anni. Officina, laboratorio, cantiere: non è importante che termine si usa per indicarne il travaglio. Bisognerà pure dare un orizzonte al non finito e al non detto di lingue che cercano, come il sardo, di non scomparire dentro la perdita dei parlanti, la non codificazione, la balcanizzazione e la trasformazione in riserva del folkspettacolo.
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Ultimo aggiornamento
12 Dicembre 2025